Non è lecito né legittimo incentivare il lavoratore a rinunciare alle ferie neppure mediante il riconoscimento di un indennizzo economico.
Pertanto, ogni incentivo rivolto ai lavoratori per indurli a rinunciare alle ferie deve ritenersi in contrasto con il principio di irrinunciabilità delle ferie e con il diritto del lavoratore a vedersi garantito il beneficio di un riposo effettivo.
La Corte di Cassazione con la recente l’ordinanza n.13613/2020 ha chiarito che: “Il diritto di ogni lavoratore alle ferie annuali retribuite deve essere considerato un principio fondamentale del diritto sociale dell’Unione, al quale non si può derogare. Non è compatibile una normativa nazionale che preveda una perdita automatica del diritto alle ferie annuali retribuite, non subordinata alla previa verifica che il lavoratore abbia effettivamente avuto la possibilità di esercitare tale diritto, infatti il lavoratore deve essere considerato la parte debole nel rapporto di lavoro, cosicché è necessario impedire al datore di lavoro di disporre della facoltà di imporgli una restrizione dei suoi diritti”.
Il diritto alle ferie può essere sostituito dall’indennità soltanto in caso di cessazione del rapporto, poiché alle ferie non si può rinunciare e, in base all’articolo 10, secondo comma, del decreto legislativo 66/2003, il diritto alle ferie «non può essere sostituito dalla relativa indennità per ferie non godute, salvo in caso di risoluzione del rapporto di lavoro».
Pertanto, il mancato versamento di un indennizzo per le ferie annuali non godute al momento della cessazione del rapporto di lavoro si pone in primo luogo in contrasto con l’art. 7 della Direttiva europea 2003/88 secondo cui: “Il periodo minimo di ferie annuali retribuite non può essere sostituito da un’indennità finanziaria, salvo in caso di fine del rapporto di lavoro.”.
Il contrasto, inoltre, si pone anche con l’art. 36 della Costituzione per cui “Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi”.
Il diritto alle ferie, di conseguenza, è per legge irrinunciabile; solo le ferie contrattuali, quelle cioè eccedenti le 4 settimane previste per legge, se non godute, possono essere convertite in un’indennità, e quindi monetizzate.
Il datore di lavoro che non riconosce le ferie al lavoratore, oltre a rispondere a titolo risarcitorio nei confronti del dipendente, incorre anche in una responsabilità di tipo amministrativo con conseguenti sanzioni da parte dell’Inps (al quale può rivolgersi lo stesso lavoratore).
Potrebbe tuttavia avvenire che al momento della cessazione del rapporto di lavoro, il dipendente non abbia goduto delle ferie obbligatorie, per esempio, in caso di morte improvvisa, per licenziamento o per dimissioni.
In tali casi secondo i principi stabiliti dalla Corte di Cassazione, dal mancato godimento delle ferie deriva il diritto del lavoratore al pagamento dell’indennità sostitutiva di ferie non godute.
Se invece il rapporto di lavoro è ancora in corso, il datore di lavoro ha l’obbligo di offrire, in forma scritta, la fruizione delle ferie al dipendente, e se adempie a tale obbligo non sarà tenuto a pagare alcuna indennità sostitutiva qualora il lavoratore non abbia volontariamente usufruito delle ferie.
Per quanto concerne la scelta delle ferie, ovvero quanti giorni di ferie fare e in quale periodo, essa spetta al datore di lavoro, tenuto, da un lato, a tener conto delle esigenze aziendali e, dall’altro, dei bisogni personali del lavoratore.
Il datore di lavoro, inoltre, ha un ulteriore vincolo, dovendo tenere conto di quanto prescrive il D.Lgs 66/2003 il quale stabilisce che è di quattro settimane all’anno il periodo minimo di ferie che il dipendente matura annualmente e le quattro settimane devono essere godute secondo precise scadenze:
- due settimane entro il 31 dicembre dell’anno di maturazione;
- le restanti nei 18 mesi successivi l’anno di maturazione.
Di norma l’azienda deve comunicare preventivamente il periodo feriale (cd. piano ferie), servendosi, oltre che della forma scritta, di qualunque altro mezzo che porti immediatamente a conoscenza del dipendente l’arco temporale in cui collocare le assenze.
Ad ogni modo, nonostante la predisposizione del piano ferie, la decisione sul periodo di assenza del dipendente spetta al datore di lavoro, mentre l’unica facoltà concessa al lavoratore è quella di indicare il periodo entro cui intende fruire delle ferie.
Il dipendente può avanzare richiesta di fruire di un certo numero di giorni di ferie in un determinato periodo ma la decisione è riservata al datore di lavoro il quale, tuttavia, in caso di diniego è tenuto pur sempre a fornire una giustificata motivazione connessa alle esigenze produttive aziendali.
Sul punto è comunque intervenuta una apposita Circolare del Ministero del lavoro (numero 8/2005) stabilendo che i periodi di ferie possono essere così suddivisi:
- le due settimane da fruire entro l’anno di maturazione, anche in maniera ininterrotta se vi è richiesta del dipendente (quest’ultima dev’essere formulata tempestivamente per permettere all’azienda di contemperare sia le esigenze aziendali quelle personali del dipendente);
- il secondo periodo di due settimane da fruire anche in modo frazionato entro i 18 mesi successivi l’anno di maturazione;
- il terzo periodo con gli ulteriori giorni di ferie previsti dal CCNL può essere fruito anche in modo frazionato.
Non è consentito al lavoratore scegliere unilateralmente e arbitrariamente il periodo di fruizione delle ferie, salvo che tale scelta sia accettata e condivisa dal datore di lavoro.
Avv. Sigmar Frattarelli
Richiesta informazioni